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L’esperienza del familiare quando il proprio caro entra in casa di riposo, è emotivamente rilevante.
Un concentrato di emozioni e pensieri che si rincorrono tra loro, nell’arduo compito di separarsi dal proprio genitore, zio o coniuge e trasferirlo in una nuova “casa”.
Il conflitto di chi si prende la responsabilità della scelta della casa di riposo per il proprio familiare, si incentra su una domanda cardine: sto facendo la scelta giusta? Non lo sto abbandonando?
Di fatto i familiari approdano con il proprio caro all’ingresso della casa di riposo, quando ormai sono stremati dallo stress psicofisico che l’assistenza richiede.
Anche quando c’è supporto grazie per esempio alla presenza di una badante, ci si rende conto che questa non è più sufficiente e che le esigenze del proprio familiare, con l’avanzare della malattia, richiedono un intervento allargato, che risponda a più bisogni: da quelli sanitari e assistenziali, a quelli emotivi e relazionali.
La richiesta implicita del familiare che ci affida il proprio caro, con timore e fiducia, è quindi questa:
“…ve lo affidiamo, coinvolgetelo, stimolatelo. Riconoscetegli valore umano e affettivo, quella dignità che comprenda il rispetto per tutto ciò è stato quando aveva un ruolo attivo nella società e nella famiglia, l’affetto per tutto quello che ha dato nella sua vita. Fate sì che da voi si senta bene, si senta amato e considerato come a casa”.
Anche il caregiver o familiare di riferimento (spesso figlio o coniuge) sente lo stesso bisogno di sentirsi accolto, di sentirsi accompagnato nel processo di cambiamento del modo di prendersi cura dell’altro.
In Casa di Riposo anche il familiare si può rilassare, delegando il carico dell’assistenza concreta e investendo quindi le sue energie esclusivamente nel tempo della relazione.